Coreografia: Sandhya Nagaraja
Musica: “Fratres” Arvo Part , “Critical Band” James Tenny
Luci: Paolo Latini
Costumi: Enza Bianchini, Sandhya Nagaraja
Allestimento scenico: Fabrizio Palla
Danzatori: Cecilia Poli, Massimiliano Pagliara
“Io dico che la pittura mi pare più tenuta buona, quanto più va verso il rilievo, et il rilievo tanto più tenuto cattivo, quanto più va verso la pittura”
(Michelangelo)
Dalla semplice osservazione delle Pietà scolpite da Michelangelo, l'idea di rendere movimento e danza una scultura e tutto cio' che essa suggerisce col suo stesso movimento interno o ispira nel suo significato. Silenzio. Tentativi. Il marmo che si spacca per arrivare a una forma essenziale nella sua pulizia, il momento del “non-finito”, non solo un passaggio ma uno stato dell'essere che si sta liberando per rivelarsi attraverso una forma, la forma che si effettua e si organizza nell'informe che già la contiene, una forma autentica, con una vita propria, alla ricerca di un proprio spazio con un movimento scaturito dall'incatenamento alla materia inerte, sempre in tensione fra cielo e terra. I due danzatori sono l'incarnazione di questo processo di liberazione della forma dalla materia grezza e la proiezione dinamica non dei personaggi delle Pietà michelangiolesche ma del movimento insito nelle statue stesse pur nella loro immobilità. Poi l'incontro, il superamento dei confini della propria individualità, la Pietas, il sostegno reciproco, l'abbandonarsi fiducioso all'altro, a Dio. La musica è il movimento interno che determina quello fisico. Muove i corpi in senso stretto. Viene fuori dal silenzio attraverso il suono del violino come la scultura dal blocco di marmo grezzo, la danza dallo spazio immobile. Poi arriva il piano a sostenerlo, inizia il dialogo, poi il contrasto, e dopo un alternarsi di ritmi più o meno serrati il crollo delle tensioni, l'abbandonarsi totale e il graduale ricondursi al silenzio, pacatamente, con la stessa delicatezza con cui un corpo adagia fiducioso il suo peso su un altro. Un ricongiungersi al silenzio che non è più l'iniziale assenza di suono ma che ormai contiene le voci del violino e del pianoforte, così come lo spazio vuoto, che lentamente inghiotte i due danzatori, divenuti una sola forma, contiene l'immagine, la memoria del loro movimento.
(Sandhya Nagaraja)